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Tumore all'ovaio, importanza dell’esame per verificare la mutazione BRCA


Il tumore dell’ovaio rappresenta la quinta causa di morte per cancro nelle donne di età compresa tra 50 e 69 anni in Italia, ma i decessi legati alla malattia diminuiscono: nel 2015 ( ultimo anno disponibile ) sono stati 3.186, nel 2013 ne erano stati registrati 3.302, con un calo del 3% in due anni.
Questo grazie alle terapie sempre più efficaci, che permettono di controllare la malattia anche nello stadio metastatico.
Tra i nuovi farmaci, si annoverano anche gli inibitori di PARP, utilizzabili sia nelle pazienti BRCA mutate che non-mutate.

Conoscere lo stato mutazionale dei geni BRCA è importante e il test dovrebbe essere effettuato su tutte le pazienti, con le caratteristiche indicate nelle Raccomandazioni Aiom-Sigu-SIBioC-Siapec-Iap 2019, al momento della diagnosi.
Questo permette di definire le migliori strategie terapeutiche e iniziare il percorso familiare che potrebbe permettere l’identificazione di persone sane con mutazione BRCA, nelle quali impostare programmi di sorveglianza o di chirurgia ( annessiectomia bilaterale ) per la riduzione del rischio di sviluppare il tumore ovarico.
Attualmente, il test BRCA viene effettuato solo nel 65.2% delle donne che ricevono la diagnosi.

Nel 2018, in Italia ci sono stati 5.200 nuovi casi, l’80% dei quali individuati in fase avanzata.
Se il tumore è confinato all’ovaio, la sopravvivenza a 5 anni raggiunge il 90%, mentre scende al 15-20% negli stadi avanzati.
Circa il 20% delle neoplasie ovariche è ereditario, cioè causato da specifiche mutazioni genetiche.
BRCA1 e BRCA2 sono due geni che producono proteine in grado di bloccare la proliferazione incontrollata di cellule tumorali. Queste proteine partecipano a meccanismi di riparo del DNA, garantendo l’integrità dell’intero patrimonio genetico. Quando sono mutate, cioè difettose, il DNA non viene riparato correttamente e si determina un accumulo di alterazioni genetiche, che aumenta il rischio oncologico.
Una mutazione di BRCA1 e BRCA2, ereditata dalla madre o dal padre, determina una predisposizione a sviluppare il tumore più frequentemente rispetto alla popolazione generale.

L’informazione sull’eventuale presenza della mutazione BRCA va acquisita al momento della diagnosi, perché può contribuire alla definizione di un corretto percorso di cura che parta dalla prima linea di trattamento.
Nei familiari che presentano la mutazione, devono essere avviati programmi di sorveglianza intensiva che spaziano dai controlli semestrali fino all’asportazione chirurgica delle tube e delle ovaie.
Le donne che ereditano la mutazione BRCA1 hanno una probabilità del 44% di sviluppare un tumore ovarico nel corso della vita. La percentuale è inferiore per il gene BRCA2 ( 17% ).
Lo studio Every Woman, promosso dalla World Ovarian Cancer Coalition, condotto su 1.531 pazienti di 44 Paesi ha evidenziato che, in Italia, prima della diagnosi il 56.5% delle donne non aveva mai sentito parlare di questa neoplasia e solo il 65.2% era stato sottoposto a test genetico.

Il trattamento delle forme precoci è chirurgico, ma, di fronte a un rischio di recidiva del 25-30%, in molti casi viene prescritta una terapia chemioterapica precauzionale, dopo l’intervento.
Nella malattia avanzata, è indicato un approccio chirurgico quanto più possibile radicale, seguito da chemioterapia. In alcuni casi, può essere necessario far precedere l’intervento chirurgico da alcuni cicli di chemioterapia ( di solito 3 ) per ridurre la malattia e rendere la successiva chirurgia meno complessa.

Il 70-80% delle pazienti affette da neoplasia ovarica in stadio avanzato presenta una recidiva entro i primi due anni dal termine del trattamento.
L’evoluzione delle terapie mediche ha consentito di migliorare significativamente le possibilità di cura di queste pazienti. Da un lato, vi sono i farmaci antiangiogenici che impediscono al tumore di sviluppare i vasi sanguigni che ne permetterebbero la crescita. Dall’altro lato, sono disponibili gli inibitori di PARP, efficaci sia nelle pazienti che presentano la mutazione dei geni BRCA che in quelle che ne sono prive. L’utilizzo di questi farmaci nel trattamento delle recidive di carcinoma ovarico ha prolungato in modo significativo l’intervallo libero da progressione della malattia.

Sono poche le strategie efficaci per prevenire il tumore dell’ovaio. Fra i fattori protettivi, la multiparità, l’allattamento al seno e un prolungato impiego di contraccettivi orali.
In particolare, donne con pregresse gravidanze multiple presentano una riduzione del rischio di circa il 30% rispetto a coloro che non hanno partorito.
Una indagine ha dimostrato che l’uso prolungato di anticoncezionali riduce il rischio di incidenza di tumore ovarico nella popolazione generale, in particolare nelle donne portatrici di mutazione dei geni BRCA. ( Xagena Medicina )

Fonte: AIOM, 2019

Xagena_Salute_2018


Per approfondimenti sul Tumore dell'Ovaio: OncoGinecologia.net https://www.oncoginecologia.net/



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