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Nuovi potenziali biomarcatori per la schizofrenia



Uno studio, compiuto da ricercatori dell’Università Statale di Milano, si è posto l'obiettivo di individuare nuovi biomarcatori nel sonno di pazienti con schizofrenia.

Lo studio, pubblicato su npj | Schizophrenia, si inserisce all’interno di un Progetto più ampio che identifica nel sonno una finestra sulla patofisiologia dei disturbi psicotici.

E' stata caratterizzata l’attività oscillatoria del cervello in familiari di primo grado di pazienti schizofrenici.
L’attività elettrica, definita come fusi del sonno, e le onde lente tipiche del sonno non-REM sono risultate alterate in modo significativo.
La presenza di tali anomalie nei familiari, i quali non presentano sintomi di malattia, suggerisce una suscettibilità genetica al disturbo.

In Europa, circa 5 milioni di persone hanno una diagnosi di schizofrenia. In ciascuno di questi casi, l’unico strumento a disposizione dei medici per porre la diagnosi è stato il giudizio clinico.

L’individuazione di un marcatore della malattia permetterebbe la conferma neurobiologica della diagnosi clinica di schizofrenia.

Durante il sonno, alcune strutture del cervello producono segnali che possono esser rilevati con strumenti privi d’invasività come l’elettroencefalogramma ( EEC ).
Nei pazienti con diagnosi di schizofrenia, alcuni di questi segnali, implicati nei processi di memoria ed attenzione, sono deboli o assenti.

Lo studio ha dimostrato che questi stessi segnali sono alterati anche nei familiari di questi pazienti, rispetto a soggetti che non hanno familiarità per disturbo psichiatrico. Ciò significa che la disfunzione delle strutture cerebrali che li generano è sì geneticamente determinata, ma non è una causa sufficiente per lo sviluppo della malattia.

Questo risultato è un importante passo verso la validazione di un biomarcatore durante il sonno della schizofrenia ed apre ad una maggior comprensione delle sue basi biologiche.

Lo studio è frutto di una collaborazione tra il gruppo di ricerca di Armando D’Agostino, Clinica psichiatrica del Dipartimento di Scienze della Salute e di Simone Sarasso, Dipartimento di Scienze Biomediche e cliniche Luigi Sacco dell’Università degli Studi di Milano.
La ricerca, effettuata presso il Centro di Medicina del Sonno, diretto da Maria Paola Canevini, dell’ASST Santi Paolo e Carlo du Milano, ha coinvolto anche ricercatori italiani che lavorano nelle Università di Madison‐Wisconsin e Pittsburgh negli Stati Uniti.

Conclusioni dello studio

E' stata riscontrata una significativa riduzione dell'attività integrata dei fusi del sonno nei parenti di primo grado rispetto ai soggetti sani, mentre non sono emerse differenze tra i gruppi riguardo alla densità dei fusi e alla durata dei fusi.
Complessivamente, i risultati suggeriscono che i deficit di attività integrata dei fusi potrebbe rappresentare un endofenotipo candidato per la schizofrenia.
Inoltre, dati i deficit di onde lente osservati nei parenti di primo grado, è stato ipotizzato che la sincronizzazione corticale alterata aumenti il rischio di schizofrenia, ma la disfunzione talamica è necessaria affinché il disturbo si sviluppi completamente. ( npj Schizophrenia, 2018 ) ( Xagena Medicina )

Fonte: Università degli Studi di MIlano, 2018

Xagena_Salute_2018


Per approfondimenti sulla Schizofrenia: PsichiatriaOnline.net https://www.psichiatriaonline.net/



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