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Una ridotta variabilità del microbiota intestinale predispone alla steatosi epatica non-alcolica



Un italiano su 4 è affetto da fegato grasso, anche nota come steatosi epatica non-alcolica ( NAFLD; Non-Alcoholic Fatty Liver Disease ), una patologia un tempo ritenuta innocua ma che è ormai noto essere un fattore predisponente alle malattie croniche di fegato ( fino alla cirrosi ) e alle malattie cardiovascolari.

Nel corso degli ultimi millenni l’evoluzione costante della specie umana ha selezionato gli individui più capaci di accumulare grassi, premiandone la maggiore resistenza alla malnutrizione. Questo assetto genetico frugale costituiva un importante vantaggio in tempi di fame e di carestie, ma si è trasformato in uno svantaggio potenzialmente letale, per le conseguenze metaboliche ( diabete mellito, malattie cardiovascolari ) nel momento in cui il nostro profilo alimentare si è arricchito a dismisura di fonti caloriche e nel contempo l’attività fisica si è ridotta.
Il fatto poi che si viva assai più a lungo, grazie ai progressi nel curare malattie e traumi, favorisce ulteriormente la comparsa delle malattie degenerative legate all’accumulo di grassi in molti organi e sistemi del nostro organismo.

Se dunque si nasce già predisposti ad accumulare troppo, a peggiorare le cose generando una vera e propria epidemia di fegato grasso ( al momento è la più comune malattia di fegato nel mondo, presente nell’80-90% degli obesi e nel 30-50% dei diabetici ) interviene un fattore potenzialmente correggibile, e cioè una dieta ricca di grassi e di calorie, tipica dei regimi dietetici di tipo occidentale, che si sono troppo discostati dalla dieta mediterranea.
Negli ultimi anni tuttavia ci si è resi conto che questo effetto negativo delle diete ricche di cibo spazzatura non è sempre diretto, ma anche mediato da un ospite silenzioso e importantissimo per la salute, il microbiota intestinale.

Per microbiota intestinale si intendono quei miliardi di batteri localizzati in particolare nel piccolo intestino, che possono raggiungere una massa di 2-3 chili.
Il microbiota facilita la digestione e l’assorbimento degli alimenti che passano dallo stomaco nell’intestino. Ma la relazione tra il microbiota e il suo ospite, cioè l’uomo, è bidirezionale, nel senso che il tipo di alimenti che compongono la dieta abituale di un individuo è in grado di modellare la composizione del microbiota.
C’è una crescente evidenza a conferma di questa osservazione, che risale a uno studio molto importante di Carlotta De Filippo e colleghi pubblicato nel 2010 su PNAS. Questa ricerca ha valutato la flora batterica intestinale di un gruppo di bambini di Firenze, paragonandola a quella di un gruppo di bambini del Burkina Faso. I bimbi africani, che hanno una dieta a base di verdura, frutta e fibre, presentavano una maggiore variabilità nella composizione del microbiota intestinale, rispetto a quella dei bambini italiani, che seguono un regime alimentare ricco di carne, fruttosio e altri zuccheri complessi.

E’ noto che una ridotta variabilità del microbiota intestinale predispone a una serie di patologie: aumenta la suscettibilità allo stress ossidativo, altera il metabolismo degli zuccheri e dei grassi e quindi predispone al sovrappeso-obesità, in particolare a livello viscerale, all’insulino-resistenza e al diabete mellito, alle patologie cardiovascolari, ai tumori e, come scoperto più di recente, anche alla steatosi epatica non-alcolica. ( Xagena Medicina )

Fonte: SIGE ( Società Italiana di Gastroenterologia ), 2017

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Per approfondimenti: Epatologia.net http://epatologia.net/



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