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Linfomi: terapie personalizzate associando a inibitori farmacologici di BCR la Rapamicina



Alcuni meccanismi attraverso i quali la proteina BCR controlla la crescita di forme aggressive di linfoma non-Hodgkin sono stati individuati da ricercatori dell’IFOM di Milano.
Dai risultati è emersa l’opportunità di monitorare con un semplice test di laboratorio l’espressione di BCR nelle cellule tumorali a partire dalla diagnosi.
I nuovi dati hanno anche indicato come migliorare le attuali terapie per la cura di diverse forme di linfomi e leucemie, proponendo approcci terapeutici basati su combinazioni di farmaci.
La ricerca è stata pubblicata su Nature.

I linfomi sono tumori del sangue che colpiscono comunemente uno dei principali attori del sistema immunitario: i linfociti B.

Reclutati per difenderci dall'attacco di agenti quali virus e batteri, i linfociti B riconoscono gli intrusi catturandoli grazie a recettori esposti sulla propria superficie, detti immunoglobuline ( BCR, da B cell receptor ).
L’intercettazione dei patogeni da parte di BCR stimola i linfociti a proliferare e quindi a rilasciare forme solubili delle stesse immunoglobuline che facilitano la rapida neutralizzazione dell’agente infettivo.

I linfociti B, mentre proliferano in risposta a un virus o batterio, acquisiscono mutazioni benigne a carico dei geni di BCR, necessarie a migliorare l’efficienza nel legare e neutralizzare il patogeno.
Questo processo, non scevro da errori, può, a bassa frequenza, causare mutazioni in geni diversi dal BCR, che occasionalmente provocano l’insorgenza di linfomi o leucemie.

In queste forme tumorali, BCR rimane espresso sulla superficie dei linfociti B neoplastici, favorendone la crescita. Ciò ha reso BCR, un bersaglio elettivo della terapia di diverse forme di linfoma non-Hodgkin, nonché della leucemia linfatica cronica, la forma più comune di leucemia dell’adulto.

I risultati dello studio mettono in guardia dai potenziali rischi di terapie anti-BCR, svelando, allo stesso tempo, strategie per rendere tali terapie più efficaci.

Studiando in topi di laboratorio il linfoma di Burkitt, una forma aggressiva di linfoma non-Hodgkin, i ricercatori hanno notato che cellule tumorali private di BCR continuavano sorprendentemente a crescere. Viceversa, le stesse soccombevano rapidamente quando conservavano BCR.
E' stato ipotizzato che BCR avvantaggi le cellule di linfoma che lo esprimono e allo stesso tempo freni la crescita di quelle che lo perdono.

I ricercatori sono poi passati dallo studio nei topi di laboratorio all’analisi di campioni umani di linfoma di Burkitt.

Analizzando una ampia casistica di biopsie di linfoma di Burkitt rigorosamente selezionata con test genetico-molecolari e utilizzando metodiche di morfologia molecolare a multipli marcatori, è stato possibile dimostrare che una parte di questi tumori non esprimono BCR, talora nella larga maggioranza delle cellule linfomatose, in altri casi in una frazione di esse.

Mentre i farmaci anti-BCR inibiscono la maggioranza della popolazione tumorale di linfomi e leucemie che esprimono BCR, essi rischiano paradossalmente di favorire la crescita di rare cellule tumorali prive di BCR, che a loro volta possono rendersi responsabili di una possibile ripresa della malattia.

I ricercatori hanno indicato come sia possibile evitare questo scenario.
Grazie a studi in topi di laboratorio è stato osservato che queste cellule sono particolarmente sensibili a stress nutrizionali, e questo le rende bersagli preferenziali di farmaci quali la Rapamicina.

I risultati dello studio, se confermati in studi clinici prospettici, potrebbero portare alla revisione delle attuali procedure diagnostiche e terapeutiche di pazienti affetti da linfomi e leucemie a cellule B.
Combinando un semplice test di laboratorio ad analisi istologiche su materiale ottenuto da biopsia o da un esame del sangue, si potrebbe monitorare lo stato di BCR nella popolazione delle cellule tumorali.
Queste informazioni potrebbero aiutare l’oncologo a progettare terapie personalizzate in cui a inibitori farmacologici di BCR possano eventualmente essere abbinati farmaci quali la Rapamicina per combattere la complessità e l’eterogeneità del tumore.

Hanno preso parte allo studio Stefano Casola, direttore del programma Immunologia molecolare e biologia dei linfomi dell’IFOM di Milano, Fabio Facchetti dell’Università di Brescia, e Maurilio Ponzoni dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. ( Xagena Medicina )

Fonte: IFOM - Istituto FIRC di Oncologia Molecolare, 2017

Xagena_Salute_2017


Per approfondimenti: Ematologia.net http://www.ematologia.net/



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